Una donna e un gruppo di uomini. Una giovane ingegnere e lavoratori d’esperienza. Una caduta inattesa e la capacità di ricominciare. Un’impresa e una famiglia. Nella vicenda della Cooperativa Calcestruzzi Ericina Libera questi elementi hanno trovato una sintesi eccezionale consentendo risultati inattesi.
Una storia che parte da lontano, adesso in grado di guardare al futuro.
Negli anni d’oro delle grandi speculazioni edilizie e dei grandi e piccoli appalti pubblici, nella filiera delle costruzione, ma parimenti in quella del riciclaggio di denaro, le imprese di calcestruzzo hanno avuto un ruolo determinante. Così nel trapanese, alla fine degli anni ‘70, sostanzialmente tutte le aziende di calcestruzzi sono passate direttamente o indirettamente sotto il controllo della mafia. La Calcestruzzi Ericina s.r.l. divenne nei fatti proprietà della famiglia Virga, i cui boss, dalle risultanze di indagine, erano i capimandamento di Trapani. Anche le altre aziende del settore finirono nel giro della mafia, come confermano le misure di prevenzione assegnate ad altri imprenditori del settore.
Le indagini della magistratura sulla Calcestruzzi Ericina s.r.l. rivelarono i collegamenti con i Virga, così tra il 1994 ed il 1996 si procedette prima al sequestro preventivo delle quote societarie e poi all’arresto dell’allora amministratore. La confisca definitiva arriva nel giugno del 2000. Stessa sorte toccò alle altre aziende.
“Per me fu come risvegliarmi all’improvviso – ci spiega Bartolo Caruso, Vice Presidente
e socio fondatore della Società Cooperativa Calcestruzzi Ericina Libera – io ci lavoravo dagli inizi degli anni ‘70. In azienda tutto filava liscio forse – ci spiega col senno di poi – per non farci rendere conto di quello che succedeva davvero”.
“Noi volevamo solo lavorare” ci dice con una semplicità disarmante quando proviamo a chiedergli come ha attraversato i diversi passaggi, alcuni piuttosto turbolenti.
“Era evidente che qualcuno stava lavorando per farci chiudere, boicottandoci, per portarci a svendere l’azienda ad un prezzo inferiore del suo valore”, spiega così Caruso i tentativi di bloccare il percorso di riscatto che i lavoratori, insieme agli amministratori giudiziari del tempo e il Prefetto Fulvio Sodano e all’associazione Libera, sono riusciti a scongiurare. “Ricordo – racconta Bartolo – che una domenica era previsto un sopralluogo da parte di fantomatici compratori, noi lavoratori non capimmo perchè si svolgesse in una giornata di chiusura della fabbrica: avvisammo l’amministratore”. Nel seguire il suo racconto, ci si rende conto come per Bartolo e i suoi compagni, l’impresa fosse una seconda casa, meglio una seconda pelle. “Le altre aziende del settore sequestrate e poi confiscate sono praticamente tutte fallite – rivendica con orgoglio – noi ci siamo”.
“Abbiamo saputo innovare e differenziare – spiega Gisella Mammo Zagarella, ingegnere e amministratore delegato della cooperativa – il nostro impianto per il recupero degli scarti edilizi ha rappresentato la sfida di coniugare il calcestruzzo con il rispetto dell’ambiente”. Ci riceve in cucina. Già perchè, alla Cooperativa Calcestruzzi Ericina Libera, la sala mensa è una cucina molto familiare: è lì che si prende il caffè. Ci racconta del suo arrivo in un passaggio strategico di questa storia complicata. Era il 2008, la confisca si avviava alla conclusione e stava per essere fondata la cooperativa e l’amministratore giudiziario del tempo, Luigi Miserendino, aveva avviato dei colloqui con professionisti segnalati dall’Università di Palermo in base al merito. “Nel colloquio – ricorda Gisella – mi chiese più volte se avessi difficoltà a muovermi in un ambiente maschile. Gli risposi che dalla laurea avevo girato cantieri e imprese, dove i maschi erano la quasi totalità. Non capivo – chiosa – pensavo fosse una scusa per escludermi”. Invece, dopo qualche tempo arriva la proposta per un impiego diretto nella nascente cooperativa, in particolare per la realizzazione di un nuovo impianto di calcestruzzo chiamato R.O.S.E. (Recupero Omogeneizzato Scarti Edilizi).
“Arrivata qui, l’impatto non è stato morbido: l’elemento di forza della Calcestruzzi, cioè la coesione dei lavoratori, poteva rivelarsi un limite nella costruzione di un proficuo rapporto”.
E poi Gisella è “fimmina”, manco trapanese, originaria di Favara, ha studiato a Palermo. Donna e ingegnere. Di fronte a lei una squadra che ne ha viste e passate tante e forse temeva che quella giovane ingegnere potesse non essere all’altezza del compito. Ma il nuovo impianto andava realizzato, era la chiave di volta per la definitiva assegnazione. “Guardavamo l’impresa di costruzione, i tempi erano stretti. Anchechi lavorava in amministrazione, appena aveva un attimo libero si spostava al cantiere: non potevamo fallire!”.
Già, da semplici lavoratori a soci fondatori di una cooperativa il passo è lungo.
“Questa cosa ci preoccupava: noi imprenditori di noi stessi!”.
In realtà dal racconto di Bartolo si comprende che loro cooperativa lo erano già tempo e forse solo per questo hanno superato indenni le fasi del sequestro e della confisca. “Da loro – precisa l’ingegnere Mammo Zagarella – ho appreso uno stile nei comportamenti, l’abnegazione al lavoro e la capacità di risolvere conflitti attraverso un codice che hanno costruito negli anni, così quando nel 2011 mi proposero di diventare A.D. e soprattutto socia della cooperativa mi sono sentita di stare dentro una storia, la loro storia che sarebbe diventata anche la mia”.
Una storia di riscatto e di tenerezza. Di coraggio e di volontà. L’impresa di un collettivo che non a caso ha scelto il motto: “Insieme si può” che campeggia nel cuore delle strutture aziendali.
Quando Gisella e Bartolo, con un velo di nostalgia, ci raccontano che “Giovanni Ruggirello è andato in pensione qualche mese fa” si ha la sensazione che, nonostante le tante difficoltà che permangono, si stia ritrovando quella maledetta normalità che tanta fatica è costata.