Ridere e piangere. La giustapposizione di sentimenti profondi è il cuore di un lavoro teatrale che spinge nei recessi dell’animo. “Il rasoio di Occam” è ambientato tra le quattro mura di un salone da barba ma si apre al mondo che c’è fuori attraverso le storie dei tre protagonisti che “esplodono” durante lo svolgersi dei fatti.
Il salone è nella città di Messina, ad ascoltare il dialetto del barbiere, ma è soprattutto Sicilia. A indicare quel distacco, quella lontananza, quella distanza che l’essere isola porta con sé rispetto ai fatti grandi della storia.
Anni ’70, tempo di politica e pantaloni a zampa, sangue e canzonette.
Anzi è proprio il 9 Maggio 1978, il giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro in Via Caetani a Roma. Quando il barbiere scanzonato accompagna alla porta il professore rasato di fresco, irrompe uno strampalato rapinatore che, suo malgrado, li prende in ostaggio. Da qui parte una rappresentazione che sa mischiare sapientemente diversi registri. Comico, ironico, drammatico, tragico il “Il rasaio di Occam” sa essere tutto questo, grazie alla prosa intensa, mai banale, ricca mai ridondante di Giusi Arimatea e Giovanni Maria Currò.
I tre personaggi sono uomini alla deriva nel mare della vita.
Mare che si fa metafora di paura, spazio dell’incertezza, del coraggio che manca, della morte che invade l’esistenza. Mare che si può osservare da lontano o da vicino, senza mai trovare la forza di imbarcarsi. Mare in cui immergersi, con il rischio di affogare se non si sa nuotare. Tre uomini con un passato pesante e un presente che diventa luogo del nascondimento. E di fronte al dolore c’è chi reagisce alzando forte il volume della musica leggera, c’è chi vuole cancellare con la routine passioni tragiche e laceranti, c’è chi decidere finalmente di “fare qualcosa” non valutando fino in fondo le conseguenze.
In quei tre uomini c’è un pezzo di ciascuno. “Ricordano alcune facce che incontravamo tornando da scuola – si legge nelle note al testo – in una strada che era un ricettacolo di vite. Da questi ricordi personali abbiamo tentato di costruire una dimensione più ampia”.
Piccoli, infinitesimamente minuscoli, nel grande mare della storia vivono la loro esistenza, provano a viverla. Alla ricerca di una via di uscita, di una soluzione. La semplicità, la rivoluzione, l’apatia. Tre prospettive che sfiorano la vita di tanti e tanti vivono nel corso di una medesima esistenza.
È nei monologhi che si crea uno spazio di comunicazione intima con il pubblico: una connessione profonda dettata da parole che seguono il flusso di pensieri e riflessioni universali. Bravissimi i tre attori Mauro Failla, Alessio Bonaffini e Tino Calabrò a interpretare il testo e a sapersi muovere nei repentini cambi di “clima” anche grazie ad una sapiente gestione delle luci e ad una regia senza sbavature di Giovanni Maria Currò.
Gli spettatori del Clan Off di Messina salutano un fragoroso applauso “Il rasoio di Occam” con la sensazione di avere assistito a un piccolo capolavoro.