Rimettere i piedi sulla propria terra. Immergersi nelle canzoni di Alessio Bondì ci riconsegna ad una Sicilia sognata ma tremendamente reale, ad una dimensione mitica ma terribilmente concreta. Musica e parole che riconducono a casa.
Se la Sicilia è terra, anzi isola, di contraddizioni forti, di contrasti vividi, il cantautore palermitano riesce con una semplicità disarmante, ma evidentemente frutto di una ricerca profonda, a riconsegnarci contraddizioni e contrasti in una dimensione che sa al tempo stesso di delicata purezza e rude fisicità.
Alessio Bondì nasce a Palermo nel 1988, comincia con la musica in lingua inglese poi si trasferisce a Roma dove si diploma all’Accademia d’Arte Drammatica “Corrado Pani”. Proprio mentre si “esercita” con la dizione in italiano, riscopre sonorità e accenti del siciliano, che diventa la lingua della sua musica. Vincitore del Premio De Andrè nel 2013, Targa Siae al Premio Parodi 2014 e finalista al Premio Tenco 2015 nella sezione “album in dialetto” con la sua opera prima “Sfardo”. Nel 2018 esce il suo secondo lavoro “Nivuru”.
Armonie e strutture fortemente contaminate tra blues e funk, per un folk meticcio, mai banale, con una profonda dimensione internazionale per il giovane cantautore per il quale si sprecano paragoni e definizioni. C’è chi descrive Bondì come “una via di mezzo tra Jeff Buckley e Rosa Balistreri”, c’è chi lo definisce “Caetano Veloso di Palermo”.
Ascoltare i suoi due album è un viaggio nelle atmosfere di Sicilia in cui piccole storie diventano epifanie della storia dell’umanità. Una Sicilia che si fa chiave di interpretazione per vicende universali. “Sento bollire la Sicilia nel sudore provocato dal contatto con l’altro, nell’inclusione della morte nel sesso, nel senso di festa e di colpa, in un’emozione dolce e violenta”. Cosi scrive Alessio Bondì nel presentare il suo ultimo lavoro. Una ricerca di senso condotta con la leggerezza che spesso la lingua siciliana offre e che non diventa mai superficialità.
Ma è forse dal vivo, come tutti i grandi, che Alessio dà il meglio di sé. Anzi dà tutto di sé. Specie se il concerto si svolge a migliaia di chilometri da quella terra da cui tutto è cominciato. E soprattutto se di fronte lui c’è un pubblico che, in gran parte, da quella terra proviene. Parlare di magia può sembrare retorico ma nel concerto tenuto il 29 Luglio 2019 al Serraglio a Milano all’interno di “Ortica Acustica” di sicuro si è respirata una straordinaria alchimia.
Sembra timido e indifeso Alessio sul palco. Ma è “il posto più bello dove voglio stare” – dice – e lo capisci appena cominciano a vibrare le corde della sua chitarra e la sua voce potente e delicata. “Tutti siciliani?” – chiede prima di cominciare – e dalla platea si alza una moltitudine di mani. “Benvenuti in Sicilia” – sentenzia – e attraverso le sue canzoni prendono forma immagini e atmosfere, note e conosciute ai presenti. È uno spettacolo lui sul palco, straziante, a volte commovente, sempre ironico. Ma uno spettacolo sono anche i tanti siciliani in platea che con lui cantano, ricordano, osservano con gli occhi del cuore e dell’anima. L’espressione che vorrebbe la Sicilia come una “dimensione dello spirito” è usurata e quasi banalizzata.
Sembra così vera, però, tra i tavolini dell’ex officina milanese, nell’aggrapparsi ad ogni nota, ad ogni lamento, ad ogni storia che Alessio propone dal palco. Si sente forte, tra il pubblico, la tristezza e l’allegria dell’essere siciliano altrove. Un equilibrio tra due sentimenti contrastanti che si fa nostalgia di un eterno presente, di una narrazione dalla quale non esci mai completamente.
Con colori forti Alessio dipinge l’amore, l’odio, l’incontro, il distacco che diventano scene di vita vera o sogni da quasi sveglio.
Parlando della sua musica Alessio Bondì la paragona a “una festa ma scendendo in profondità nei testi si vede pulsare viscera, sensualità, carne e ricerca di spiritualità”. Per noi, come nelle opere d’arte vere, attraversare la produzione musicale significa vivere un’esperienza che lascia una traccia. Forse una ferita.