Una collaborazione che si fa complicità, fatta di stima e un rapporto ancestrale con la terra dei propri avi. “Liggenni” non è solo il progetto musicale di una coppia, Mimì Sterrantino e Marco Corrao, insolita e inattesa, ma un viaggio, mai banale, per le leggende della Sicilia, che è principessa e madre, tremendamente reale e oniricamente magica.
Tra le voci più interessanti del panorama musicale siciliano e non solo, Sterrantino e Corrao vengono da percorsi paralleli, il folk e il blues, ma animati da una profonda necessità di sperimentazione. Che il rispetto professionale e umano sia alla base del loro ritrovarsi ce lo dicono subito quando li incontriamo, davanti a un paio di birre, all’A18 di Roccalumera, subito dopo il soundcheck di una delle ultime tappe del tour siciliano.
“Ci siamo conosciuti due anni fa, ci è capitato di suonare insieme – ci spiega Mimì – e abbiamo deciso di condividere un progetto musicale”. “Abbiamo pensato per un po’ di tempo a cosa potesse fondere i nostri percorsi, non è stato né semplice né scontato – completa Marco – ma quando l’abbiamo trovato, tutto è andato velocemente”.
L’elemento che unisce Sterrantino e Corrao è la narrazione dei luoghi delle loro origini attraverso le storie e le leggende popolari tramandate dalla tradizione orale. “Non credo si possa dire ci sia un messaggio dietro questo progetto – ci risponde Mimì Sterrantino – ma solo il bisogno naturale di raccontare”. Sin dalle prime battute è evidente che Mimì preferisce parlare sul palco, mentre Marco vuole guidarci dentro il lavoro di ricerca e costruzione che rende profondo e complesso quel “bisogno naturale”. Al tavolo insieme a noi anche Davide Campisi, percussionista, e Ottavio Leo, bassista nel tour, ma soprattutto anima della “RecOn Black” che ha prodotto il disco. Anzi il vinile.
Già perché il prodotto in vendita è proprio questo vecchio supporto. “È una scelta di ‘resistenza’ forse retrò – spiega Marco Corrao – ma di fronte alla crisi del mercato dei CD abbiamo scelto il vinile per creare un suono antico e dare il senso che “Liggenni” è soprattutto un prodotto culturale”. Le canzoni non sono infatti tutelate perché “le leggende non ci appartengono sono di tutti, non ce ne potevamo appropriare”, chiosa Mimì Sterrantino.
Come tracce su un dipinto che si compone, le frasi dei due artisti disvelano le caratteristiche intime di “Liggenni”. “Sono le storie che ci raccontavano i nostri nonni – spiega Corrao – vengono dai miei Nebrodi e dalla costa jonica di Mimì”. Figli di Capo d’Orlando e Castelmola, non hanno scelto le leggende già conosciute o i miti già noti, ma le storie che, di bocca in bocca, sono arrivate fino a noi passando per un campo polveroso, i tavoloni di una vecchia putia, i gradini sotto una chiesa, le parole di un cuntastorie errante. E che loro, oggi raccontano in musica ai loro figli.
Una dimensione familiare che sta dentro la vita di questo progetto. “La mia – spiega Davide Campisi, percussionista ennese – non è stata una semplice collaborazione professionale, ma con Mimì e Marco mi sono sentito a casa condividendo non solo un disco e un tour ma ansie e aspirazioni, mi sono sentito in famiglia”. Insieme a Flavio Gullotta, al contrabasso, Campisi ha suonato nell’album riversando ritmo e sperimentazione.
È quest’ultima un tratto decisivo del lavoro di “Liggenni” nei ritmi, nelle armonie, nelle melodie ed anche nei testi, spesso volutamente ermetici. Il banjo e il mandolino di Mimì, la chitarra di Marco, il tamburello e le percussioni di Davide e, dal vivo, il basso elettrico di Ottavio, mentre in studio il contrabasso di Flavio, creano atmosfere allegre, magiche, spesso sognate. “Non volevamo essere antichi anche se la nostra è una ricerca sulle radici”, ci dicono ad una voce. Il suono che ne esce è fresco e moderno, non solo una interessante fusione di folk e blues, ma anche una sapore forte di quello che Mimì e Marco chiamano cantautorato.
È la modernità la cifra di questa ricerca di identità. Un legame, un attaccamento al passato che non ha un gusto vecchio o nostalgico, ma che vuole trovare nelle radici, nella storia popolare di una terra, un modo per riscoprirne risorse, luoghi, riti spesso dimenticati, che riemergono e ritrovano vita nelle note e nei testi di “Liggenni”.