Inaspettato, inatteso, sorprendente appare così il Teatro di Andromeda appena arrivati in questo posto che sovrasta la valle di Santo Stefano Quisquina, in provincia di Agrigento.
Ma è un attimo e poi questo teatro sospeso sulle nuvole diventa profondamente naturale, quasi che quello spazio dove è stato pensato e realizzato, con la forza delle idee e delle mani di Lorenzo Reina, fosse già lì quando era una semplice spianata dove pascolavano le sue pecorelle.
Già, perché il creatore di questo luogo unico è un pastore, figlio di pastore, nipote di pastore. Erede di un lavoro che è stile di vita, fatica di albe gelide di inverno, respiro di colori tersi di primavera, sudore dell’arsura estiva, umido di bivacchi autunnali.
Il racconto della genesi del progetto trasporta in un’atmosfera magica, quasi esoterica.
“Stava tramontando su Santo Stefano -racconta Reina- nel richiamare il gregge ho avuto quasi una visione. Ogni pecora mi sembrava una stella, ma allo stesso tempo la platea di un palcoscenico che immaginavo stagliarsi sulla linea dell’orizzonte”.
Ed è proprio li che Lorenzo decide che dovrà nascere il “suo” teatro. Ne delimita il perimetro con pietre di tutte le dimensioni, ognuna cercata e trovata nelle campagne, sotto lo sguardo diffidente di contadini increduli. Più che curiosità si trattava di incomprensione per questo pastore che si faceva costruttore. “Ciascuna di queste pietre ha una storia, ne ricordo i giorni e la fatica – spiega – alcune sono macchiate anche del rosso del mio sangue perché le pietre tagliano, scivolano pesanti”. Fa impressione pensare che un uomo solo inseguendo una visione possa trasformare una spianata in un teatro che ha per tetto il cielo e per sfondo l’orizzonte.
La sensazione per lo spettatore che siede su uno dei blocchi di marmo di Alcamo che hanno preso il posto delle pecorelle, ordinate secondo la sequenza delle stelle della costellazione di Andromeda, è che il palcoscenico sia sospeso, sulla linea del cielo. Un espediente costruttivo, semplice, ma che rende questo posto incantato. E quando scende la sera, i colori della natura si fanno tenui e dolci, obbligando i visitatori ad abbassare il tono della voce e ad ascoltare il rumore del tramonto. Un atto creativo di un uomo che sembra dare senso a tutta la natura circostante.
A chi ci arriva per caso seguendo un’indicazione su una vecchia strada provinciale o ai tanti che, da tutte le parti del mondo, hanno visto una foto sui social e sono venuti al Teatro di Andromeda la prima percezione, istintiva ma razionale, è l’equilibrio di ogni singola pietra nell’intera costruzione a sua volta in perfetto equilibrio con la natura. “Nella scelta della spirale che ciottoli di pietre bianche e nere formano al centro del palco -conferma Reina- abbiamo voluto trasmettere il senso profondo della ricerca di questi anni: trovare il perfetto bilanciamento che è alla base di tutte le filosofie e le religioni”.
Nel racconto di Lorenzo Reina questi trent’anni scorrono veloci ma nel suo viso, nei suoi occhi si percepisce la fatica del costruire, della capacità di immaginare e realizzare, della forza di saper crescere insieme alla propria opera. “Otto anni fa, per “esigenze sceniche” ho deciso di smontare e rimettere in piedi il palcoscenico, non è stato facile ma era necessario”. Ecco la parola chiave “necessario”. Questa “cosa”, nata in mezzo ai monti, dalle mani di un pastore, è semplicemente necessaria.